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Rovine del Monastero di Khirbet Qumran (foto Donnini)

Quando io e mia moglie siamo giunti nella piana di Gerico, dopo avere percorso la ripida discesa che da Gerusalemme punta dritta verso il Mar Morto, la prima cosa che abbiamo fatto è stata quella di cercare delle indicazioni per Qumran, le quali non si sono fatte attendere molto; il sito archeologico è a cinque chilometri da lì. Un leggera deviazione a destra, una brevissima salita sui primi contrafforti della montagna e finalmente il cartello ci ha informati che eravamo arrivati.
Era quasi mezzogiorno, l'ora in cui il sole manifesta con tutta chiarezza che egli è contemporaneamente signore della vita e della morte, e che può uccidere con quella stessa energia con cui, normalmente, alimenta l'esistenza degli animali e delle piante.

Abbiamo aperto le porte della macchina e, abituati come eravamo al condizionatore, siamo stati assaliti da una autentica muraglia d'aria pesante e rovente (si ricordi che a 400 m sotto il l.m. la pressione è maggiore); l'abbiamo battezzata "la sala macchine" e nei giorni successivi abbiamo usato spesso quella espressione, che ricorda l'atmosfera del vano motori di una nave.
Khirbet Qumran è un sito archeologico ufficiale, curato dal governo Israeliano, dove ancora oggi sono attivi degli scavi. Si paga una tariffa modesta per l'ingresso e si riceve un piccolo depliant, disponibile anche in Italiano. L'uomo dello sportello si raccomandava: "Take some water with you!". I turisti erano pochi, qui l'alta stagione corrisponde all'inverno o alla primavera.

In questo ambiente, a mezzodì di un giorno del mese di luglio, quando la temperatura rischia di avvicinarsi ai 50 gradi, è necessario coprirsi la testa, bagnarsi la nuca e le braccia, bere spessissimo, muoversi come i bradipi; bisogna respirare con calma, fare passi lenti. Con un po' d'attenzione si riesce a controllare il metabolismo che si abbassa e cessa quasi completamente di produrre calore corporeo. Fortunatamente il vento non manca e aiuta a sopportare le condizioni ambientali; e se non ci fosse quello, la situazione sarebbe proibitiva poiché ci si muove in un paesaggio di rocce e pietre che, praticamente, non si possono nemmeno toccare. Una autentica fornace.
Sarebbe meglio venire alle quattro del mattino, quando compaiono i primi chiarori del giorno che nasce. Ma il sito è aperto dalle 8.00 alle 17.00, quando la violenza del sole è irrimediabile. All'alba sarebbe anche possibile comprendere meglio quello che dice Giuseppe Flavio, quando descrive il rito della preghiera al sole, che gli esseni, probabili costruttori ed abitatori di questo luogo, compivano tutte le mattine rivolti verso l'astro sorgente. Non si tratta di un rito usuale nel culto ebraico, e questo dimostra come gli esseni esprimessero un dissenso non solo nei confronti dell'autorità politica e sacerdotale di Gerusalemme, ma anche nei confronti della concezione religiosa in generale.

Un altro rito comune nel comportemento della setta, che è decisamente degno di nota è il cosiddetto "pasto comunitario", che è riconducibile all'ultima cena di Gesù con gli apostoli.


L. da Vinci: Ultima cena

A questo proposito è meglio fare una premessa e notare che una delle contraddizioni presenti nel Nuovo Testamento riguarda l'ultima cena di Gesù, la quale differisce sostanzialmente fra il resoconto sinottico e quello giovanneo [vedi i brani relativi].
In pratica, mentre i tre resoconti sinottici (Marco, Matteo e Luca) sono caratterizzati dalla istituzione del sacramento dell'eucarestia, il quarto vangelo non dà segni di conoscere, in quella circostanza, né il fatto né il contenuto teologico connesso. Eppure, si faccia bene attenzione, il testo giovanneo è proprio quello che si dilunga maggiormente nell'analisi e nella descrizione dei vari insegnamenti teologici, anche in questo brano dell'ultima cena (la lavanda dei piedi, il comando della carità, la vera vite, l'odio del mondo e la promessa dello Spirito Santo, la fede dei discepoli, l'unità della Chiesa...). Tant'è vero che, mentre l'ultima cena occupa nei vangeli sinottici una paginetta o poco meno, nel quarto vangelo essa occupa numerose pagine.
Ora, noi sappiamo che il quarto vangelo è entrato in un secondo tempo a far parte del canone ecclesiastico e che esso è stato ricavato attraverso l'adattamento di un testo originatosi sicuramente in una scuola gnostica dell'asia minore.
Un fatto importante riguardante questo vangelo, che abbiamo già visto, è la datazione dell'ultima cena che, a differenza dei sinottici, risulta coerente non col calendario ufficiale lunare degli ebrei del tempo, ma con quello solare degli esseni di Qumran [vedi nota].
Queste due differenze (datazione solare e assenza della istituzione dell'eucarestia) ci danno molti buoni motivi per pensare che gli evangelisti della tradizione sinottica, fedeli alla teologia riformata della scuola paolina, fossero interessati a purgare il racconto da ogni possibile relazione con la tradizione esseno-zelota (tendenza che abbiamo modo di riscontrare in tutto il racconto evangelico) e ad introdurvi piuttosto le idee antiessene elaborate e propagate da Paolo di Tarso.

Del resto, ciò che Gesù ha annunciato ad una assemblea pasquale di giudei, ovverosia il fatto che il pane fosse la sua carne e il vino il suo sangue, e che i discepoli dovessero cibarsi della carne e del sangue del loro maestro sacrificato, visto come incarnazione divina, sarebbe suonato non solo insolito, ma orrendamente sacrilego, dal momento che queste idee configuravano una tipica concezione appartenente al mondo delle teologie e dei culti gentili, altamente disprezzati dai giudei. In particolare corrispondono a certi culti pagani teofagici (teofagia = cibarsi del dio), fra cui uno molto diffuso nell'area di provenienza di Paolo di Tarso, consistente nell'identificazione di un toro col dio che veniva sacrificato e del quale l'adepto doveva bere il sangue e mangiare la carne. Sappiamo invece che per gli ebrei il sangue costituisce un forte elemento di impurezza, che non è permesso toccare il sangue senza poi eseguire pratiche purificatorie, figuriamoci bere il sangue; anzi, una delle prescrizioni più rigorose del cibo kosher consiste proprio nell'assicurarsi che l'animale ucciso sia stato ben dissanguato. Storicamente parlando, non possiamo considerare credibile che Gesù, volendo trasmettere una novità teologica, avrebbe cominciato col proporre una formulazione rituale apertamente offensiva nei confronti della sensibilità ebraica e che avrebbe subito suscitato il ribrezzo dei suoi discepoli.
Gesù ha utilizzato spesso nei suoi discorsi l'immagine del pane, inteso come cibo spirituale, ovverosia come allegoria di una conoscenza superiore che gli uomini devono acquisire (l'abbiamo visto nel capitolo "Premesse", là dove abbiamo parlato dei miracoli e dei linguaggi simbolici in uso nei racconti evangelici), insieme ad altre allegorie come quella dell'acqua viva dell'albero e dei frutti, ecc...
Senza alcuna ombra di dubbio, questa concezione del pane e del vino come carne e sangue di Cristo, di cui i discepoli devono cibarsi, costituisce una improvvisa e forzata irruzione di teologia pagana, caratteristica dei cosiddetti culti misteriosofici, nel culto esseno del pasto comunitario (consiglio vivamente, a questo proposito, la lettura dei capitoli del libro di Frazer, Il Ramo d'Oro, riguardanti i culti di Adonis, Attis, Osiride, Dioniso, Mitra...). Il responsabile di un innesto così artificioso potrebbe essere stato Paolo di Tarso, lontano dalla Palestina, o qualcuno dei suoi discepoli, forse un gentile, non certo l'ebreo Gesù, nel cuore di Gerusalemme, di fronte ad una assemblea di ebrei e nell'imminenza della Pasqua ebraica.
In realtà, se esaminiamo alcuni documenti qumraniani, possiamo dare una collocazione storica molto più appropriata all'episodio dell'ultima cena di Gesù:

    "...in ogni luogo in cui saranno dieci uomini del consigio della comunità, tra di essi non mancherà un sacerdote: si siederanno davanti a lui, ognuno secondo il proprio grado, e così, nello stesso ordine, sarà domandato il loro consiglio in ogni cosa. E allorché disporranno la tavola per mangiare o il vino dolce per bere, il sacerdote stenderà per primo la sua mano per benedire in principio il pane e il vino dolce..." (Regola della Comunità, VI)

    "...e quando si raduneranno alla mensa comune oppure a bere il vino dolce, allorché la mensa comune sarà pronta e il vino dolce da bere sarà versato, nessuno stenderà la sua mano sulla primizia del pane e del vino dolce prima del sacerdote, giacché egli benedirà la primizia del pane e del vino dolce e stenderà per primo la sua mano sul pane. Dopo, il Messia di Israele stenderà le sue mani sul pane e poi benediranno tutti quelli dell'assemblea della comunità, ognuno secondo la sua dignità. In conformità di questo statuto essi si comporteranno in ogni refezione, allorché converranno insieme almeno dieci uomini..." (Regola dell'Assemblea, II)


Piatti in uso durante i pasti comunitari,
reperiti nel corso degli scavi a Qumran.

Possiamo così renderci conto che, durante questa cena pasquale a cui il quarto vangelo attribuisce una datazione coerente col calendario solare degli esseni, Gesù svolge il ruolo sacerdotale espresso dai documenti di Qumran e previsto per le assemblee di almeno dieci uomini convenuti al pasto comunitario.

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